Chiesa di Santa Maria de Figulis
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Chiesa di Santa Maria de Figulis: dove i vasai costruirono un gioiello
Nel cuore dell’antico quartiere dei vasai, la piccola chiesa di Santa Maria de Figulis – detta di Montecorvino – custodisce otto secoli di storia catanzarese in uno scrigno architettonico di rara bellezza. Questo tempio medievale, nato dalla devozione di una comunità di artigiani e divenuto nel tempo simbolo di nobiltà urbana, rappresenta un esempio straordinario di come l’arte e la fede possano trasformare un quartiere e la sua identità sociale.
Nel quartiere dei maestri vasai
La chiesa deve il suo nome originario – Santa Maria de Figulis – alla comunità che la fondò presumibilmente nel XIII secolo. Come racconta Vincenzo D’Amato nel 1670, il titolo deriva dal fatto che “in quella contrada abitavano Maestri di vasi di terra” (dal latino figulus: vasaio), artigiani che già in età medievale realizzavano nelle loro botteghe raffinate manifatture di terracotta.
Il quartiere sorgeva in posizione strategica, a ridosso del quartiere ebraico (poi di Santo Stefano Protomartire) e dei “ristretti” latini delle parrocchie di San Basilio, San Menna e Santa Maria di Ognissanti. Fu proprio questa comunità di ceramisti a prodigarsi per la costruzione del piccolo tempio, dedicandolo a Maria Santissima delle Grazie.
Il mistero del nome Montecorvino
La denominazione popolare “Montecorvino” nacque successivamente, legata a un fenomeno naturale che colpiva l’immaginazione: l’enorme numero di corvi che, in determinati periodi dell’anno, si annidavano tra gli alberi dei numerosi “orti urbani” ancora oggi presenti nelle vicinanze della chiesa. Questo particolare conferì al luogo un’atmosfera suggestiva che si riflette nella toponomastica locale.
Da quartiere artigianale a borgo nobiliare
Il Seicento segnò una trasformazione radicale del carattere del quartiere. Il fiorire dell’arte della seta portò benessere economico e, per l’amenità del luogo, l’antico rione dei vasai divenne centro di una fiorente attività edificatoria. Molte famiglie nobili dell’epoca – Campitelli, Malpica, Sanseverino, Passarelli, Tiriolo – scelsero di costruire le proprie residenze urbane intorno alla chiesa di Montecorvino.
Questa trasformazione sociale è documentata negli atti parrocchiali della Platea Gori del 1691, dove il parroco don Antonio Pavone giustifica le spese per le feste liturgiche: “per la festa titolare della B.V. che si fa a dì 8 settembre, io vi ho speso ogni anno da che sono parocho da scudi otto e più perchè l’ho fatta solenne con musica e cere e parati perchè il convicinio di detta parrocchia è tutto di gente nobile”.
Elevazione a parrocchia e splendori seicenteschi
Verso la fine del XVI secolo la chiesa fu separata dal Capitolo cattedrale e nel 1601 elevata a rango di parrocchia, con primo parroco il sacerdote Fabio Senatore che la resse per trentasette anni. Durante il Seicento la parrocchia si arricchì di preziose suppellettili, parati sacri serici di manifattura catanzarese (tra cui uno splendido piviale di raso bianco ricamato in seta policroma) e opere d’arte, inclusa la pala dell’altare maggiore raffigurante la Madonna delle Grazie con il Bambino e ai piedi i santi vescovi Basilio e Vitaliano.
Sopravvivenza al terremoto e trasformazioni ottocentesche
Il sisma del 1783 danneggiò ma non distrusse la struttura, che rimase tra le diciotto parrocchie superstiti e fu salvata dal Piano di riassetto del marchese di Fuscaldo del 1799. Alla parrocchia furono aggregate le cure d’anime di Santo Stefano dei Malfitani (l’antica sinagoga), consolidandone l’importanza territoriale.
La trasformazione più radicale avvenne nel 1858, quando il parroco Pucci stravolse l’assetto medievale: spostò l’ingresso da oriente a occidente, creò una sagrestia nel sito dell’antico portale, trasferì l’altare maggiore e, soprattutto, sostituì l’antico soffitto ligneo con l’attuale cupola ottagonale. Questa struttura, realizzata con “caroselli” o “figulini” (elementi fittili cilindrici e vuoti), rappresenta un omaggio alla tradizione ceramista del quartiere.
Un gioiello architettonico moderno
L’esterno attuale, frutto del rifacimento post-bellico voluto dal parroco don Salvatore Talarico, presenta un’elegante soluzione neoclassica. Un alto basamento corre intorno al tempio, sostenuto da grandi paraste tuscaniche che reggono una trabeazione con cornicione modanato. La facciata principale si distingue per le quattro paraste che incorniciano il portale architravato, sormontato da una lunetta con formella in terracotta raffigurante la Natività della Vergine.
L’iscrizione latina “D.O.M. AC DEIPARAE NASCENTI SACRUM” ricorda che sin dalle origini la comunità fissò la festa parrocchiale all’8 settembre, natività della Beata Vergine Maria.
La cupola dipinta: un capolavoro nascosto
L’interno ad aula unica conserva il suo gioiello più prezioso nella cupola ottagonale, abbellita da un ciclo di tempere raffiguranti “Scene della vita della Beata Vergine Maria”, opera dei fratelli Nicola e Domenico Pignatari. Questi artisti catanzaresi realizzarono anche il quadro di Santa Rita, posto nel vano dell’antico ingresso medievale.
Tesori d’arte e devozione
La chiesa custodisce varie opere d’arte dei secoli XVIII-XIX, tra cui la settecentesca tela del “Beato transito di San Giuseppe”, quella della “Natività della Vergine” e preziosi paramenti e argenterie. Particolare venerazione è riservata alla statua di Maria Santissima Bambina, il cui culto fu introdotto tra fine Ottocento e inizi Novecento dal parroco don Michele Cozzipodi.
La festa della Madonna Bambina, preceduta dal novenario e seguita dalla suggestiva “messa dell’Aurora” a cui “accorreva di notte in pellegrinaggio l’intera popolazione”, culmina nello “svelamento” della statua, adagiata su una culla sorretta da due angeli in bronzo e posta in un fastoso trono d’ottone.
Un patrimonio da valorizzare
La chiesa di Santa Maria de Figulis rappresenta così un compendio straordinario della storia sociale e artistica catanzarese: dalle origini medievali artigianali alla trasformazione nobiliare secentesca, dalle innovazioni ottocentesche ai restauri novecenteschi. Ogni epoca ha lasciato il proprio segno, creando un palinsesto architettonico e artistico di grande valore che testimonia la capacità di una comunità di reinventarsi mantenendo la propria identità spirituale.
Oggi questo piccolo gioiello attende interventi di conservazione e valorizzazione che possano restituire pieno splendore alle sue opere d’arte e far conoscere a un pubblico più ampio la ricchezza di un patrimonio che racconta, attraverso i secoli, la storia di un quartiere e della sua gente.
