L’antica capitale della seta: Catanzaro tra arte, colore e commerci
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Dal Medioevo all’età moderna, Catanzaro fu il cuore pulsante della seta nel Mediterraneo. Tra l’XI e il XVIII secolo la città si impose come uno tra i massimi centri serici d’Europa, capace di dettare gusto e tecnica in quell’universo di damaschi, velluti, rasi, broccati, lampassi e tessuti raffinati che vestivano corti, chiese e mercati internazionali.
Tessuti pregiati per re e mercati
Le cronache antiche raccontano la fama dei “cathasariti”, i tessuti catanzaresi: già nel 1205 una pergamena cita “cuscini di cathasarito rosso, panni d’oro e di seta, sciamiti e zendadi di diversi colori”. Nel 1397 la manifattura locale aveva raggiunto tale prestigio che il re Ladislao di Durazzo concesse sgravi fiscali in segno di incentivo, ricambiato da un parato di velluto verde e oro che adornò la sala del trono di Castelcapuano a Napoli.
All’inizio del XV secolo, la produzione serica di prestigio nel Regno di Napoli era limitata a Catanzaro: la città si guadagnò così protezione speciale e privilegi dai sovrani, consci che da qui partivano merci per le vie della seta che attraversavano l’Italia e l’Europa.
Colori, fibre e segreti del mestiere
La fama dei tessuti catanzaresi non si doveva solo alla perizia tecnica, ma anche all’arte sopraffina del colore. Le tinte – cremisi vivace, amariglio, blu notte, verde, celeste – erano ottenute esclusivamente da coloranti naturali: il celeste da una mistura chiamata “castello”, il cremisi dal kermes (una conchiglia raccolta e lavorata per secoli), lo scarlatto dalla radice della robbia dei campi, il nero da noci e galle di quercia, il giallo oro dall’erba e dalla terra gialla raccolte nel territorio tra Tropea e Caraffa.
Questa sapienza tintoria dava ai tessuti lucentezza, durata e colori che non svanivano mai, così ammirati nelle corti e nei mercati europei.
Regolamenti, corporazioni e qualità
La qualità era frutto di severi regolamenti. I Capitoli dell’Arte della Seta (1519, diploma di Carlo V) fissavano standard rigorosi per lavorazione, remunerazioni, produzione e vendita, a tutela di committenti e artigiani. Il Consolato della Seta determinò persino il numero dei fili nell’ordito: ogni damasco aveva 7.600 fili, garanzia di spessore, pregio e notevole peso.
Città cosmopolita: Greci, Ebrei e Latini
Attorno all’arte serica fiorì un microcosmo multietnico. Tessitori greci, tintori ebrei, mercanti amalfitani e siciliani fondarono botteghe e comunità vivacissime: filavano, tessevano e tingevano la seta, esportando i “cathasariti” dai mercati di Catanzaro a quelli veneziani e italiani, come testimoniano fiere e cronache dal ‘500.
Nelle botteghe si sentivano idiomi diversi, si sperimentavano tecniche innovative, si creava ricchezza ma anche fermento culturale, con la nascita di pie confraternite, arti e corporazioni laicali che animavano il tessuto urbano.
Damaschi e ricami: orgoglio cittadino
Il vanto di Catanzaro erano i suoi damaschi: la manifattura di famiglie come i De Siena e i Bianchi li rese celebri sino agli inizi del Novecento. La seta era impiegata anche per arredi sacri e reliquiari, richiesti tanto da chiese che da casate nobiliari.
Accanto alla tessitura sorse la raffinata arte del ricamo: le monache domenicane di S. Caterina o di S. Rocco e le cappuccine francescane di S. Maria della Stella crearono veri capolavori decorativi con seta, oro, perle, nastri e materiali policromi.
Espansione e declino
Durante il Rinascimento e il Barocco, la produzione raggiunse il massimo splendore: la città arrivò a contare 500 telai nel XVI secolo, 5-6.000 nel Seicento, circa 800 nel Settecento. Solo tra fine ‘700 e primo ‘800, anche per concorrenza e trasformazioni economiche, Catanzaro conobbe un lento declino, condiviso con storici centri della seta come Napoli e Lucca.
Una tradizione che vive ancora
Dell’antica “capitale della seta” restano tracce vive nei musei, nelle fiere, nei palazzi e nelle chiese di Catanzaro. A testimoniare quella stagione di genio e maestria che fece della città un faro della creatività artigiana europea, dove colori naturali, regole severe e saperi condivisi crearono un mito ancora oggi simbolo d’identità locale ed eccellenza italiana.
